La dottoranda con le valigie ha dovuto fare ancora una volta le sue solite due valigie e uno zaino blu, lasciare il posto che inaspettatamente ha voluto diventare casa, e ripartire. Quando ho iniziato questo dottorato e ho guardato al calendario di tre anni davanti a me non avrei mai pensato di essere stanca, a un certo punto, di cambiare casa ogni 3 o 6 mesi. Non so per quale follia mentale, credevo che ce l’avrei fatta senza problemi. Ed è andata sempre bene, e sta ancora andando bene. Una settimana fa, dopo appena due giorni in famiglia, ho ripreso un aereo e mi sono stupita di quanto sia veloce cambiar casa ancora una volta. 2 ore tra aereo e metro, e sto abitando un nuovo luogo. Per soli tre mesi, una delle città da me sempre sognate diventa realtà – non so se diventerà casa, ma non lo si sa mai all’inizio. Mi sono spostata da una capitale all’altra – questa molto più vivibile, molto più rilassata. Una qualità della vita così non l’avrò mai altrove, credo. E un anno fa, quando mi si chiedeva dove avrei voluto vivere, rispondevo con risposte che mai avrei potuto immaginare, anni prima. Rispondevo che mi interessava poter girare in bici, mangiar bene, non avere problemi. Tutte cose sacrosante per carità.

Eppure, eppure, come sempre c’è un eppure. Bella la qualità della vita nella mia amata Germania, bello girare a piedi, bello mangiar bene. Tutto stupendo e necessario. Ma ora che casa è diventata così chiaramente un luogo preciso, un luogo che in verità è un non-luogo (quando casa diventa un insieme di persone e gesti anche se il luogo in sé, per la prima volta, poco conta), ecco che diventa difficile chiamare casa un altro luogo. Diventa difficile pensarsi tre mesi così, a sei ore di distanza sugli orologi, con un oceano in mezzo, a vivere vite parallele. Diventa difficile MA, ragazzi, s’ha da fare, perché la casa è lì che aspetta, e questa Germania non è altro che una domanda che urge: cosa conta, davvero, alla fine?